L’ANNO CHE VERRA’

Questa volta niente buoni propositi per il nuovo anno visto che quelli per il 2020 si sono interrotti bruscamente. L’imprevedibilità degli eventi ci ha insegnato (forse) a non dare nulla per scontato. E che di fronte alla Natura siamo davvero tutti uguali. L’augurio è di un anno all’insegna di un’eccezionale normalità.

25 APRILE

Stamattina, in occasione dell’anniversario della Liberazione dal nazifascismo, sono andato, come ogni anno da quando sono a Roma, alle Fosse Ardeatine a porgere un saluto ai tanti innocenti trucidati in quel luogo. Anche quest’anno c’erano visite guidate gratuite fornite dai familiari delle vittime. Nell’ascoltare gli aneddoti provenienti dalla voce commossa della guida, nipote di uno degli italiani lì trucidati, ho provato ancora una volta sgomento, come ogni volta. Mi ha dato peró speranza la presenza di molte persone, tra cui numerosi giovani e bambini. Una presenza che spero significhi voglia di sapere, di non dimenticare e di essere più forti di ogni attuale rigurgito di quei tempi infausti.

UN MESE AL NATALE

Manca un mese al Natale anche se le vetrine sono addobbate da fine ottobre. Ho pagato per montare le gomme termiche così posso andare a pagare in autostrada senza dover pagare anche una multa. Fa abbastanza caldo, non è un buon periodo per quelli che aspettavano l’inverno per lamentarsi del gelo. Ma i meteorologi dicono che potrebbe fare freddo, prima o poi, da qualche parte, forse. Che strano. Però piove molto, e ogni tanto qualche strada si allaga. O sparisce, purtroppo. Tra i regali di quest’anno molto gettonati i gilet, quelli gialli. Ci sono ancora troppi adulti che credono ai doni e ai condoni di Babbo Natale e al finto Blec Fraidei (sì, lo so che non si scrive così). L’Ue boccia la manovra dell’Italia. Io boccio la manovra di quegli idioti che mentre sei in coda e aspetti il tuo turno per svoltare a uno svincolo ti superano e si infilano giusto all’uscita. Non ho ancora comprato un’agenda per il nuovo anno. No, non è un invito a regalarmela. Fossi una sigla di cartoni animati vorrei essere quella del Grande Mazinga. Toglietemi tutto ma non il mio Netflix. Manca un mese a Natale ma sembra lontanissimo.

BUON VIAGGIO AMICO MIO

Ora che sei libero e non hai più dolori mi piace immaginarti in qualche posto in cui potrai continuare a correre, a saltare, in cui potrai continuare a ripetere quelle meravigliose giravolte di festa che facevi su te stesso prima di balzarmi addosso gioioso ogni volta che venivo a trovarti, in cui potrai continuare a fare lunghe passeggiate come quelle che mi portavi a fare con te, ad annusare tutti gli odori sul tuo cammino, a fare pipí dove piú ti piace, ad abbaiare di felicità, a giocare, a gioire, e soprattutto a dispensare affetto sincero, puro e incondizionato, come hai sempre fatto. Per me sei stato e resti un amico prezioso.

TEMPI DIFFICILI

Per caritá ognuno è legittimato a pensarla come meglio crede e a sproloquiare come ritiene opportuno, ma al di là delle ideologie (vabbe’, ideologie) provoca un certo fastidio agli occhi e alle orecchie leggere o sentire le solite frasi qualunquiste, i soliti luoghi comuni, i soliti preconcetti, di chi guarda al dito anziché alla luna, di chi si sente volpe e non arriva all’uva, di chi scambia violazioni della civiltà e del buon senso per coraggio e fermezza.

EST MODUS IN (re)BUS

All’arrivo del bus balzai su e sedetti, a metà del mezzo, accanto al finestrino. Non c’era molta gente. Una coppia di ragazzi, un signore elegante con una tracolla. Una donna era al telefono qualche posto più in là. Parlava di certe pratiche, usava certi termini giuridici. Un finestrino alquanto sudicio mi separava dal mondo che scorreva fuori. Mentre il bus attraversava la città mi incuriosiva guardare le vetrine dei negozi, la gente entrare in panetteria o nell’ufficio postale. Operai sui ponteggi con le tute sporche di lavoro, ragazzi ai semafori che chiedevano monete agli automobilisti, venditori ambulanti di fiori, di frutta, degli oggetti più svariati. Avvertivo clacson frenetici, vedevo persone affrettarsi verso chissà quali mete. Alla fermata seguente salirono due tizi di mezza età proseguendo una conversazione sulle Ong. Mentre il bus costeggiava basse abitazioni, mi persi d’un tratto a guardare le chiome di certi alberi, il cielo blu, e certi ricordi. Un uomo passeggiava affiancato da un vecchio cane dall’andatura stanca. Due attempate signore dal passo lento chiacchieravano all’uscita di una piccola chiesa alla fine del viale. All’esterno di un bar degli anziani giocavano alle carte, su un balcone una donna stendeva i panni, una ragazza camminava lesta con dei libri avviluppati tra le braccia, una vecchietta sosteneva a fatica la busta della spesa, un uomo in giacca e cravatta con un aggeggio nell’orecchio sembrava parlare da solo. Salutai l’autista e scesi.

ESTATE IN CITTÀ

Restare tutto il mese di agosto in città non è il massimo ma ha i suoi lati positivi: la strada, ad esempio, è sgombra da quelle fragorose lamiere dai mille colori e appare ora serena e quasi piacevole. Clacson, gestacci e manovre balorde per un parcheggio sono in ferie. Le zanzare no. Al supermercato e alla posta le file sono ridotte, i prezzi no. Poi ci sono anche persone che fanno cose strane, tipo andare a correre alle 13 con 35 gradi o telefonare al barbiere di lunedì (quest’ultima cosa l’ho fatta io oggi).

STRANI GIORNI

Sono strani questi mondiali senza l’Italia, non c’è dubbio che siano strani. Che poi, con gli elementi scarsi che abbiamo a disposizione, non sarebbe mica una pacchia passare il turno.
Faremmo un sacco di gol facili solo contro le squadre deboli ma gli ultras crederebbero che siamo forti. La difesa farebbe acqua da tutte le parti e faticheremmo a portare il risultato in porto perché sarebbe chiuso. L’inno nazionale sarebbe fatto di rutti e peti. Chiederemmo continuamente la moviola in campo (rom).
Batteremmo solo calci d’angolo con la bandierina italiana. Verremmo eliminati al primo turno ai calci nel sedere. Gli ultras direbbero che anche all’altro mondiale, quando c’erano quegli altri, avevamo fatto schifo. Poi tutti i giocatori se ne andrebbero in vacanza a godersi la pacchia, magari in crociera.

Era solo per sdrammatizzare il senso di disgusto che regna sovrano dinanzi a quelli che per dare un senso alla propria quotidianità si armano di vuotezza e combattono, ogni giorno, una misera guerra tra poveri senza vincitori, godendo se vengono sottratti dei diritti agli “altri” che manco conoscono, fissando costantemente fieri e tonti, beati e beoti, il dito anziché la luna.
Era solo per sdrammatizzare il senso di profonda amarezza di fronte all’immensa meschinità e alla smisurata grossolanità che dominano incontrastate (e incontrastabili), alimentate continuamente dall’incapacità di fare a meno dei luoghi comuni e dei preconcetti verso ogni forma di “diversità” (cosi la chiamano quelli che si credono “normali”).
Era solo per sdrammatizzare di fronte all’assenza di ogni minimo sforzo di prendere consapevolezza della banalissima circostanza che ci vuole solo fortuna a nascere nel posto giusto, nella casa giusta, nel momento giusto, a vivere e a sopravvivere.

BREVE STORIA LIETA

Alla cassa della Feltrinelli c’è una coppia a cui il cassiere chiede “Avete la tessera clienti?”. La coppia dice “No, se vuole può accreditare i punti per gli sconti a qualcuno che abbia la tessera”. Dopo ci sono io. Il cassiere mi guarda e io mostro la tessera ringraziando la coppia. Poi il cassiere dice alla coppia “In totale sono 157 euro”.
Fine.